lunedì 5 dicembre 2011



Rifugiati

Congo, l’elicottero rollava sulla pista gettando polvere ovunque circolarmente, ero vicino alle pale e mi spostai un po’ di lato, poi decollò ed io restai sulla verticale con i capelli schiacciati sulla testa, sotto l’elicottero spiccavano due grandi lettere sul fondo bianco: UN...
Nazioni Unite....la missione piu’ costosa della storia, 600 milioni di dollari l’anno, in una delle zone piu’ ricche del globo dove soldati di ogni risma si ammazzano per accaparrarsela: Nord Kivu/Ituri, Est Congo…
Tornai alla Jeep decisamente sudato, con la maglia appiccicata alla schiena come i miei pensieri nella mia testa, ossessivi,schiacciati  sul palato, amari.
Pensavo che da tempo la coscienza se ne fosse andata via lungo il lavandino ed invece eccola qua...
Rifugiati, soggetto e oggetto del mio progetto in queste terre, bellissime,stupende, devastate,trentaduemila rifugiati scappati dalla regione vicina ricca di oro, diamanti, coltan,petrolio,uranio, legnami pregiatissimi, rifugiati svuotati di dignità, ridotti a numeri sui fascicoli dell’Unione Europea, marcati con numeri sulle braccia per la distribuzione di cibo, in condizioni disumane dove la miseria non e’ semplicemente una parola su un foglio,ma come diceva Cesare Pavese, ha anche la sua puzza.
Sfruttati da tutti, dai soldati, dai governi, dalle popolazioni locali, dalle organizzazioni umanitarie per ottenere i progetti di emergenza...emergenza? e’ una cosa che svuota il corpo, altro che emergenza, sfruttati persino da chi, tra loro, si occupa di gestire la situazione.
E’ mattina ,mi avvio sull’asse Beni- Eringeti,limite della regione, una strada sterrata che a tratti sembra il letto di un torrente dove anche la Jeep si rifiuta di avanzare.
Il verde della foresta e’ accecante, un cielo di piombo incombe dall’alto, e’ la stagione delle piogge eppure proseguiamo nel tragitto, ai lati della strada centinaia di persone vanno avanti e indietro verso destinazioni ignote.
Ci fermiamo a mangiare qualcosa in una specie di locanda improvvisata dove una ragazza di una bellezza statuaria ci porta fagioli bolliti e banane grigliate, il tutto in una lentezza cosmica, il tempo in africa sembra essere una quarta dimensione, una cosa a noi sconosciuta, così come gli spazi, infiniti, pur trovandosi in mezzo alle montagne, paesaggi costanti per centinaia di chilometri, dove i bambini spesso rincorrono la macchina per salutare il Muzungu, l’uomo bianco.
Le case dei locali fiancheggiano il tragitto, vengono realizzate con una struttura intrecciata di tronchi e rami, una sorta di gabbia, che viene poi riempita di terra ridotta a fango che una volta seccata forma delle pareti di una consistenza inaspettata; lo stesso per il tetto che viene poi coperto da tegole di legno o erba a più strati, chi ha la possibilità usa la lamiera ondulata.
C’e’ una miseria diffusa che non avevo incontrato in Uganda, non c’e’ lavoro se non quel minimo per sbarcare il lunario, dove anche andare nella selva a fare legna diventa una attività indispensabile.
Arriviamo al campo, e’ solo l’una del pomeriggio e sono già stravolto dal caldo, il presidente del campo ci viene incontro ossequioso, lo saluto: Abari Musei- MusuriAbari-Musuri asante sana, entriamo in una capanna a pianta quadrata, tetto in erba, caldo soffocante.
Dopo pochi istanti la stanza si riempie dei rappresentanti di ciascun campo, nella zona ce ne sono 17, tutti sotto il nostro progetto.
Se c’e’ una cosa che gli africani considerano indispensabile alla vita quasi come l’aria che respiriamo e’ il meeting, il raduno, l’incontro.
Sotto un albero, sotto una roccia, in fianco ad una cascata, in una casa di qualche personalità, sotto una tenda, in uno di questi posti ,se siete in africa per lavoro, prima o poi vi troverete a dover spendere non meno di un paio d’ore.
Si parla, si espone , si discute, si chiacchiera, il tutto per chiarire la modalità della prossima distribuzione di cibo e altri generi, ogni capo dice la sua, poi arriva il mio turno, decisamente imbarazzato dalla situazione m’inoltro in una spiegazione del mio punto di vista in modo estremamente diplomatico per non offendere nessuno, la mia traduttrice mi da’ man forte ripetendo con voce d’usignolo le mie parole, a tratti la guardo mentre parla,la sua voce mi cattura e quasi perdo il filo del discorso...
...e invece no, ce l’ ho fatta ad arrivare in fondo, ho dovuto mantenere le disposizioni avute dall’organizzazione senza ledere la loro dignità.
Praticamente il progetto considera anche il fatto che qualora si continuasse a mantenere la stessa quantità di cibo data nelle prime distribuzioni potrebbe essere un incentivo per far sì che gli sfollati rimandino sempre più avanti nel tempo il ritorno alle loro terre, creando così anche un contrasto sempre maggiore con la popolazione locale.
Ci avviamo verso la base, decisamente perplesso guido assorto guardando il paesaggio,continuo a pensare all’incontro appena terminato, mi viene  da accostare le genti appena lasciate e tutti quei gruppi che per una ragione o per l’altra nel corso della storia si sono dovuti spostare dalle loro terre, lasciare le proprie radici senza mai più tornare e ritrovarle...perché un uomo e’ fatto anche della sua piccola storia locale, di quartiere, dei suoi odori,colori,miasmi, e’ talmente una attrazione forte che spesso non si capisce come un popolo sia attaccato ad una terra di semplice sabbia e sassi dagli stenti prodotti; come uccelli ci muoviamo nel pianeta,ma resta sempre quella radice che affonda nel terreno delle nostre origini...
...un gruppo di piccolissimi pappagalli affianca la Jeep poi s’inoltra nel fitto della selva , mi volto e affondo letteralmente negli occhi della ragazza assunta come interprete, una locale, sguardo perlaceo, sorriso gentile , pelle di pesca; vive in una casa di una stanza sola lungo il fiume, ha appena perso la madre per malaria, credo proprio che stasera la inviterò a cena con i miei colleghi, ho visto un ristorantino sull’unica strada asfaltata del paese; Menu: pesce fritto con contorno di patate, insalata di avocado e cipolline del luogo,frutta...Mango

...’’ I think I’ll go to Hellenic restaurant this evening for dinner, it would be nice to go together’’,
“Yeah  why not it’s a great idea”…



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