lunedì 5 dicembre 2011


Mr XXXXX:  Il  Comandante
        
                                                                                           Kampala-Uganda
                                                                         4° latitudine Nord
 Ribelli, ribelli, ribelli
Da tre settimane almeno a Kampala non si parlava d’altro, i “ribelli” al nord del paese stavano ammazzando un sacco di gente, erano anni che andava avanti così, ma mai come in quel periodo avevano combinato così tanti attacchi con tanta violenza sulla popolazione.
Non riuscivo nemmeno a farmi una birra al bancone senza che prima che fosse finita non avessi sentito questa parola, ribelli.
E così per bere in santa pace, tre settimane e un giorno telefono in Italia e dico al presidente dell’organizzazione per cui lavoro che voglio formare un piccolo convoglio d’emergenza alimentare con i nostri camion per fare almeno qualcosa per la gente del Nord, nelle zone di Gulu, gli spiego la situazione: che non possono neanche più andare a lavorare i campi per paura di essere massacrati, che di notte si rifugiano nelle chiese o negli ospedali perché hanno paura di stare nelle loro case….che non hanno più niente da mangiare perché non possono lavorare…gli spiego, gli spiego gli spiego, ma...,  rifiuta!
Appendo, decisamente svuotato, se c’è una cosa più triste di quella di essere in una situazione in cui non puoi aiutare qualcuno che è nella merda, è non aiutare qualcuno che è nella merda quando puoi…
“Va beh direttore burocrate e titubante forse son pazzo ma il progetto lo faccio lo stesso e forse non te lo dirò neanche mai.”
Una sera esco con degli amici colleghi di altre organizzazioni, si và a cena, un posto da sogno; entro e penso “per la miseria dei locali così credevo esistessero solo nei film di James Bond” e invece eccolo qua! Con tanto di piscina e zampilli, non sapevo se mangiare o fare il bagno…nel dubbio bevo, ...un Kutty Sark con acqua grazie.
Loro sono accompagnati da un ugandese, e che ugandese! , scopro che è niente meno che il fratello del Re della tribù più potente del paese, lui è alla mia sinistra e sentendo che mi rivolgo al cameriere in dialetto locale mi prende in simpatia , mi chiede cosa faccio e io gli spiego questa idea di portare tre camion di cibo al nord e che devo cercare una scorta o un convoglio a cui aggregare i mezzi, mi guarda un po’ stranamente poi mi dice che mi farà parlare con un suo amico.

Io guidavo la jeep su per la salita , faceva fresco, il sole se la pigliava comoda ancora dietro le colline della città e in alcuni punti sotto i banani si formavano piccoli nembi di nebbia; più salivo e più mi chiedevo cosa cristo stessi facendo, le mani mi sudavano una fredda sensazione, e tutto questo per causa mia, tutto partito da me stesso,
Sì perché l’amico del principe altro non era che un uomo dei servizi segreti ugandesi che dopo aver sentito la mia necessità di una scorta mi rassicurò e a sua volta mi disse “ti faccio parlare con una persona”...e questa persona era un generale dell’esercito che comandava le operazioni al nord : Mr XXXXXX, membro del piccolo gruppo di dodici uomini che avrebbe poi con la guerriglia e un forte gruppo di seguaci conquistato il potere sedici anni prima.
Insomma in Africa, basta che sei un Bianco e lavori per qualche organizzazione e arrivi subito in alto, ed in effetti stavo andando in alto, la casa era in cima alla salita!
E così eccomi alle sette del mattino al cancello dell’abitazione di uno dei cinque uomini più potenti del paese...ma io non volevo tutto questo, volevo solo una scorta per i miei camion...
Penso ad un sacco di cose mentre varchiamo il gate; YYYY, il mio contatto dei servizi segreti(!) saluta le guardie al cancello che indossano rigorosamente il basco rosso dei corpi speciali.
Salgo piano con la Jeep, il giardino è pieno di tende militari, almeno una decina, con tanto di pastori tedeschi, gli uomini saranno una cinquantina.
Posteggio, tre uomini con mitragliatori vengono verso di noi, YYYY scende, a me fanno cenno di restare a bordo, poi si accostano alla portiera mi fanno scendere e uno mi perquisisce, YYYY parla in dialetto e garantisce per me, ma il tipo mi controlla anche le caviglie,
Entriamo in casa, capisco al volo che aria tira e mi rendo conto ancora una volta di più del potere che hanno i militari in questi paesi.
L’arredamento è tra i più ricercati che abbia visto, con tanto di ghepardo a grandezza naturale in ceramica e un acquario pulitissimo con un centinaio di pesci mignon; le pareti sono rivestite di belle assi di mogano con uno scudo appeso, più varie cose tra le più disparate come il carapace di una tartaruga.
Siamo in sette nel salotto ad aspettare il Comandante delle operazioni, gli altri mi squadrano, non deve capitare spesso di vedere un bianco su quella poltrona che m’avvolge, anche se sono in borghese capisco che tra loro c’è una gerarchia militare, da come si parlano, da come si guardano.
La casa è in cima ad una delle colline di Kampala e dalla finestra di questo salotto si domina la città, fa una certa impressione; una sensazione di potere e scommetto che il capo l’ha voluta proprio per questo.
Resto in piedi attaccato ai vetri a guardare lo scenario, dovreste provare ciò che ho sentito, vivere la realtà africana anche in queste situazioni ti fa sentire in un’altra dimensione; la luce ormai dominava la città e il vapore saliva più deciso dal verde della selva sulle colline ai lati della vallata, le strade sotto, cominciavano a riempirsi di gente, di rumori, di odori, d’un tratto mi venne in mente una frase di Napoleone letta anni prima in una biografia in un momento in cui lui guarda delle colline al mattino e dice ad un suo attendente:” bella scena per un campo di battaglia non trova?”.
E meno male che lavoro per un’organizzazione umanitaria, sarà stato il giubbino che m’ero messo sulle spalle a mò di tabarro, comunque il generale comandante del tempo presente, il mio intendo, quello africano, entra in scena ed io non avevo mai visto un nero così nero, era veramente nero, alto sul metro e ottantacinque, mi stringe la mano , praticamente me la avvolge, poi dà disposizioni ai suoi subalterni che escono per varie destinazioni, tranne due, poi m’invita sulla veranda, stranamente non provo il timore che pensavo ne tantomeno una reverenza di cortesia, anzi resto addirittura involontariamente in piedi per alcuni secondi quando loro hanno già preso posto e contemplo ancora il paesaggio poi uno di loro mi riporta alla realta :” generale vuole sedersi?”, come scusi? “ Mr Macchi vuole sedersi?”, Oh si certo certo...
La brezza  lì fuori mi ha riportato veramente alla realtà e iniziamo a parlare del convoglio e della scorta armata, lui mi rassicura mentre intanto una coppa di frutta mista mi delizia di gusto e profumi, poi io gli spiego il percorso che vorrei far seguire ai camion e sorge una certa divergenza dalla quale ad un certo punto nasce una situazione imbarazzante perché sembra che io conosca la cartina meglio di lui, cosa improbabile decisamente, e infatti vien fuori che la strada è la stessa solo che lui usava il toponimo in lingua locale e parte una risata che scioglie la tensione.
Lascio l’agente segreto a casa sua e guido verso l’ambasciata per avere un documento, il caldo ha ormai avvolto le cose;
più tardi in sede dò disposizioni agli autisti, alle donne in cucina, alla segretaria, persino alla guardia armata al cancello, mi siedo in ufficio, e m’accorgo di avere ancora indosso il tabarro- giubbino, lo tolgo e la segretaria mi dice:

                  ” You are strange this morning  ,  you behave like a man in the ARMY…..  !

- Tu dici Jacinta ?  Che ci sarà per rancio oggi?

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