lunedì 5 dicembre 2011


La   guardo...
Uganda
Kampala 09/12/97
4 gradi latitudine nord


…Era verso sera e un missionario comboniano passò a trovarmi, lo avevo conosciuto anni prima e fù tra quelli che mi consigliarono di non andare in Rwanda nel 1997 per un breve progetto alimentare di due settimane; consiglio che non seguii.
Aveva ottantasette anni e stava in Uganda da sessant’anni. Era arrivato qui nel ’42 risalendo il corso del Nilo dall’Egitto e poi attraverso il Sudan col battello su quello che viene chiamato Nilo Bianco sino a Juba in Sud Sudan, proseguendo poi il viaggio con le carovane dell’epoca attraverso l’Uganda del nord sino alla capitale.
Erano viaggi defatiganti dove la tempra veniva messa alla prova dall’afa, dalle zanzare, dalle possibili febbri, da cibi che spesso, per la mancanza di anticorpi del caso, causavano dissenterie spossanti per il fisico.
Lo guardavo come fosse un’icona, totalmente catturato da quest’uomo piccolo, asciutto, con una voce che sembrava provenire direttamente dalla lontananza dei suoi ricordi, flebile e sussurrata.
Il suo viso triangolare percorso da rughe pareva roso lentamente dai venti della savana, occhiali spessi e radi capelli bianchi davano giusto contorno alla sua età.
Mi stava raccontando della sua vita attuale e intanto sorseggiava una tazza di tea che avevo preparato con piccole foglie verdi e un pezzo di cannella, quand’ecco che viene fuori e comincia a raccontare, come in stato di trance, di quando ventisettenne cominciò la sua vita missionaria, della natura ancora selvaggia di allora, senza strade e veicoli a motore, della bellezza del Nilo, con gli ippopotami immersi nell’acqua e i coccodrilli sulle rive con le fauci aperte per la digestione.
Mentre parlava accompagnava gli eventi con descrizioni manuali, muovendo le mani nodose nell’aria come per dare figura alle sue parole.
Interruppi per un istante l’attenzione per prendere le settimanali pastiglie di chinino, ma lui continuò come se non mi fossi neanche mosso, totalmente preso dal “sogno”….
…” e non immagini quanti bianchi c’erano allora a Kampala, era tutto controllato da loro e dagli indiani, poche strade e un mio compagno di seminario che arrivò qui con me impiegò una settimana per arrivare a Kigali;…sai poi ci siamo rivisti in un meeting di comboniani a Nairobi anni dopo e mi raccontò una cosa che mi dissero anche altri:
   Lì quando un tootsi voleva sputare, se aveva vicino un hutu gli diceva di aprire la bocca e poi gli sputava dentro! Eh sì abbiamo visto tante cose belle, ma tante malvagie anche.
“Nel ’62 poi gli inglesi se ne andarono e finì così il periodo coloniale, quello d’occupazione per lo meno perché quello economico invece..”
Lo ascoltavo ,ma era come sfogliare un capitolo di storia, lui ERA un pezzo di storia africana, parte di quei missionari che hanno seminato il “Verbo” nel continente nero, con grandi errori a volte..
Gli guardavo il piccolo crocefisso di ebano che gli pendeva dal collo, poi cessò di parlare e lentamente si addormentò fisso sulla poltrona, sembrava un bambino di pochi mesi che ovunque lo posi dorme come in letargo.

Lo guardavo pensando a quanto fosse lontano da me, da noi, quest’uomo, quasi un alieno dal passato, perché le cose che ha visto lui e quelli come lui non le vedrà più nessuno; nella mia smania per le esplorazioni geografiche m’immaginai di aver parlato con Livingstone, Speke, o Burton..
Si congedò e io mi trascinai verso il Pub, schivando automezzi di ogni sorta, su strade in buona parte asfaltate qui in città, semi illuminate dalla luce artificiale dei lampioni, con le insegne dei negozi, le paraboliche sui balconi, la gente che aspetta il minibus e intanto parla al cellulare!!
Per fortuna che basta andare fuori città o andare nei quartieri per ritrovare in un secondo un’atmosfera a noi così estranea all’apparenza, ma che invece inconsciamente tocca l’anima in modo indelebile…
…La gente che cammina in mezzo alla strada, usando la strada; i piccoli negozietti , donne che vendono caschetti di banane mignon , pomodori, limoni impilati a piramide che quando li vedi ti chiedi come possano stare impilati a quel modo visto che sono tondi, altre che vendono piante o fiori per abbellire un eventuale giardinetto interrate in vasi ricavati da vecchi barattoli per conserve, un’altra che allatta in fianco alla strada mentre aspetta acquirenti per il suo persico del Nilo affumicato, e tutto questo illuminato ogni sera dai fari delle auto, dalle candele, da lampade a petrolio che spandono nell’aria il caratteristico odore, e dalle luci di singole lampadine a filamento dei negozi minimarket, ovunque odore di carne, di acqua stagna, di terra…

…e allora ti siedi ad un tavolino con una birra in mano e alle tue spalle un albero di mango imponente con le radici conficcate nel terreno e la chioma che sfarfalla la luce della luna, una ragazza si siede e inizi a parlarci, ma non puoi, non riesci a non perderti nel nero dei suoi occhi,VIVI ,che sembrano quelli di un cervo che scappa da una foresta in fiamme, LA GUARDO e mi sento vivo,
sento la natura che mi circonda,
sento che persino il mango alle mie spalle respira.
 La guardo
e mi sembra di cadere in vortice dentro i suoi occhi, un balzo a ritroso nel tempo e nello spazio, la guardo, e mi viene voglia di gridare alla notte e al cosmo, ma un nodo in gola mi blocca,
la guardo  e non posso che pensare…

                                      Una vita sola forse è troppo poco..

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